È esperienza comune rivedersi nelle vecchie foto e trovarsi bellissime. Eppure, lo ricordiamo bene, all’epoca eravamo piene zeppe di complessi e assolutamente inconsapevoli di essere così giovani e carine.
Perché? Perché eravamo giovani, per l’appunto, e sopraffatte da standard estetici dettati da modelle con gambe da fenicottera.
Afflitte da insicurezze adolescenziali e curve mediterranee, era facile per l’industria cosmetica convincerci di avere un problema che avremmo dovuto assolutamente risolvere per meritare shorts e bikini. Avevamo la cellulite, era evidente: bastava strizzare fortissimo le cosce tra le mani per accorgersene.
L’evoluzione delle forme
Si dice che i canoni estetici cambino nel tempo e nello spazio, ed è vero: fossimo nate nella Grecia classica avremmo avuto carriere tipo Elena di Troia, nel Rinascimento saremmo state addirittura considerate sottopeso, ma a me è toccato in sorte essere di essere tra le adolescenti nei tonici anni Ottanta e le giovani donne negli anni Novanta, così esangui: la cellulite era da sempre il nostro nemico. Conservo memoria di ogni trattamento dimagrante, crema snellente, gel detossinante, tisana drenante, benda astringente, puntura risolutiva ancorché dolorosissima a cui ci siamo sottoposte in quegli anni, incluso un pacchetto di massaggi che la mia amica Elisabetta, sedicenne filiforme, riuscì a farsi regalare per la promozione.
Non accusateci di superficialità, avevamo degli alibi: c’era, e c’è tuttora, la volontà di farci sentire sbagliate nei nostri corpi, sempre difettosi. È così facile convincere le donne di essere imperfette, lo è ancor di più quando sono maggiormente vulnerabili come accade nelle età di passaggio, adolescenza e menopausa.

L’invenzione della cellulite
Oggi le cose vano un po’ meglio, oggi molte di noi sanno che la cellulite non esiste, che è stata inventata. Come viene spiegato in questo illuminante articolo (da stampare e rileggere alla bisogna), il grasso sottocutaneo ha cominciato a essere considerato un inestetismo solamente cinquant’anni fa, quando Vogue iniziò a parlare diffusamente di cellulite per offrire alle donne un modo nuovo e trendy per odiare il proprio corpo. Prima di allora il termine veniva utilizzato nella sola accezione medica di “infiammazione del tessuto connettivo” – tranne che in Francia, dove già negli anni a cavallo delle due guerre i saloni di bellezza offrivano trattamenti per debellare questa imperfezione che deturpava il collo delle signore. Sì, avete letto bene: il vantaggio di un inestetismo che non esiste è che può essere localizzato ovunque lo si desideri, e dal momento che il collo era la parte del corpo che le donne avevano cominciato a esibire si pensò bene di far partire la cellulite da lì.
Ma basta parlare delle signore francesi, torniamo a noi.
Torniamo alle ragazze che sorridono nelle foto, quelle che si credevano brutte, grasse e impacciate mentre erano solamente insicure. Se c’è qualcosa che la maturità insegna è che l’accettazione di sé è direttamente proporzionale agli anni che si compiono e che a vent’anni si può essere bellissime, sì, ma cretine.
“Quando ero ragazza e mi credevo piena di cellulite, mi ero convinta che a causa di questa nessuno mi avrebbe mai amato, che non avrei avuto il lavoro dei sogni e la mia vita sarebbe stata uno schifo” confessa Daria, psicologa sessantenne. “Oggi mi guardo allo specchio e la buccia d’arancia è sempre lì . Solo che adesso non spreco tempo a crucciarmi, piuttosto indosso qualcosa che mi valorizzi e parto alla conquista del mondo.”
Daria, mi starai mica diventando saggia?
“No, macché. È vero che con gli anni si diventa più sicure si sé, ma è anche vero che quando il girovita lievita, i seni cadono e i capelli imbiancano, avere un inestetismo che per di più non esiste è proprio l’ultimo dei pensieri. E poi l’età aiuta a raccontarsela meglio”.
Per le più giovani che ancora combattono con le paturnie da buccia d’arancia, invece, un suggerimento: il libro da leggere è “Solo per sempre tua” di Louise O’Neill. Forza, ché poi vi interrogo.
Articolo di Rossella Boriosi
Classe ’66, milanese di nascita e perugina per vocazione. Scrittrice, blogger e contributor per Style, Vanity Fair, La27esima Ora. Ha un blog personale dove raccoglie le storie e i punti di vista di gente dell’età di mezzo. Che non è la mezza età.
Capita che le persone le raccontino storie. Donne, perlopiù, che a un certo punto delle loro vite sono state costrette a reinventarsi. Le loro sono storie intense, belle, di persone con tanto da dire e molto da fare e che non si riconoscono nella rappresentazione che di loro danno i media.
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